UNCLE ROSE

 

 

di Francesco Dignatici


Fonte: La luna nuova - Agosto 2012, num. 40

Articolo originale (PDF)


Whiskey per i miei uomini, birra per i miei cavalli

 

Concedetemi questa piccola divagazione: non è certo un segreto che il Rock, quello vero, può essere una gran seccatura.

Se ti ritieni un cosiddetto "esperto", incappare nella band che suona al tuo pub di fiducia e che ti rimpinza di un menù prelibato fatto di Stones e Pink Floyd come portate principali, un contorno di punk dei tardi ’70, ed un po’ di Nirvana come dessert, beh, amico… ti fionderai al settimo cielo senza bisogno di scalini.

Soprattutto dopo la seconda birra media.

Ma se sei il cosiddetto ascoltatore "generalista", se non conosci a memoria le date di pubblicazione degli album dei Beatles ed i nomi delle 5000 amanti di Mick Jagger, se non hai odiato nemmeno un po’ l’intera dinastia reale britannica durante l’ascolto dei Sex Pistols, se di sentire una band dal vivo te ne frega relativamente a meno che non si tratti dei Modà, allora spararti due ore di Rock nudo e crudo dopo l’aperitivo e la cena al ristorante può essere un attentato al tuo spirito di sopportazione, ai tuoi padiglioni auricolari, al tuo benessere psico-fisico oltre che al tuo ideale di serata "piacevole".

Il Rock è così: smuove le coscienze, va nel profondo. E’ viscerale, duro, rumoroso. E’ inquieto. E’ persino riuscito a cambiare il mondo, anni fa. Ma c’è una cosa che non può fare: intrattenere il cosiddetto pubblico "medio", il quale, al contrario, tende ad esserne persino un po’ infastidito.

Eppure non è poi una rarità trovare in giro appassionati di questo genere, persino nei nostri paesi.

Ora prendiamo il Country: intendo quello bianco e conservatore, a tratti un po’ facilone, che continua a vendere milioni e milioni di copie negli States. Quello con i cappelli da cowboy, le Telecaster superveloci ed il cavallo in copertina.

Ad un oceano Atlantico e metà mar Mediterraneo di distanza dalla sua patria natìa, non sono molti quelli che se lo piazzerebbero nelle casse dello stereo in cameretta.

Se lo filano in pochi. Eppure, prestate attenzione, una serata di Country ben eseguito, magari alternato sapientemente ad un mix "american style" di quello giusto, "ci sta".

In molte situazioni differenti e per diverse tipologie di pubblico. Magari nessuno conosce i brani e sono pochi quelli che lo adorano. Qualcuno lo detesta pure. Ma l’evidenza sperimentale dimostra che, nel complesso, la serata scorre via liscia, piacevole, per molte persone.

Perché il Country è divertente, non è rumoroso, è leggero. E’ spensierato, a tratti addirittura adrenalinico. Funziona. Gli imprevedibili prodigi dell’antica arte dell’intrattenimento.

Seguo gli Uncle Rose fin dai loro esordi e posso assicurarvi che non hanno ancora toppato una data. "Ci stanno", praticamente sempre. Nati dalla camaleontica attitudine allo show di Miky Corti, luccicante frontman dei neonati Sirs, che reinventa se stesso nei panni più polverosi e genuinamente rustici del "country-boy".

Sulle ali del palco, due chitarre di quelle da fare crepare di invidia la concorrenza: il "Digna", affermato guitar hero di Smarties e Scossa Shock Band, dialoga amabilmente (ma solo musicalmente parlando) con "Rose", rifinitore di classe con il viziaccio per il Blues, oltre che personaggio chiave di varie band nate nei paesi limitrofi al nostro a partire dalla fine degli anni ’80.

Le due sei corde si sposano in un preciso e tagliente gioco di fraseggi.

Compatti, definiti e brillanti, sorretti dalla sobria giustezza di Ferrari e dalle morbide linee di Joe Zanotti, bassista impeccabile e musicista rivelazione degli ultimi anni.

E non di solo Country si tratta: il repertorio è un'accattivante cavalcata che alterna Southern Rock di qualità al Blues, al Folk, fino a recenti esperimenti con brani tradizionali irlandesi, con la voce del buon vecchio "Mike" che sembra davvero dominare ogni differente situazione. Non ci vorrà molto perché la vostra serata non cominci a decollare, soprattutto se condita da un po’ di immaginario "western" che vi aiuterà ad entrare nello spirito giusto.

E non importa se non avete un petto rassicurante alla John Wayne ed i cazzotti di Terence Hill (prima che diventasse Don Matteo, ovviamente); non importa nemmeno se il cavallo più indomabile che avete placato è appeso alla giostra che gira in piazzetta; probabilmente non possedete nemmeno l’eroica spavalderia di qualche cowboy nostrano, con tanto di cappellaccio ricurvo e minaccioso, che non disdegna di accompagnare il proprio destriero nel bel mezzo del paese affollato, magari procurando al fortunato passante un bel paio di pantofole di sterco.

Vi basterà un po’ di sana follia ed un bel camicione a quadri, un bicchierino di Jack nella mano destra, ed anche voi vi ritroverete sotto il palco degli Uncle Rose, carichi a pallettoni e urlando verso il cielo: "Thank God, I’m a country boy!".

 

Generi

Country, Southern Rock, Blues, Folk

Periodo di attività

2008 – ancora in attività

Formazione

Michele Corti (voce); Claudio Rosini (chitarra); Luca Dignatici (chitarra);

Giorgio Zanotti (basso); Alessandro Ferrari (batteria).

Altri componenti

Luca Fontana (basso) e Stefano Fratti (basso),

per brevi periodi durante i primi mesi di vita del gruppo

Chi ci ricordano

Keith Urban, Johnny Cash, Creedence Clearwater Revival

Hanno detto di loro

"Risuonatemi quella bella dei cavalli" (On. Gualtiero Sirone, Italia dei Valori, 2009)

"Ye-heeeey!!!" (Mons. Arcivescovo Tarquinio Equino Stoppa, 2011)

"Vorrei il programma musicale della serata." (Ispettore S.I.A.E., 2012)