I LIGURI NELLE FONTI ROMANE 


 

Le prime testimonianze a proposito dei Liguri risalgono ad Esiodo, Ecateo di Mileto ed Eschilo, che li citano come i più antichi abitatori dell'Italia. Le fonti che descrivono le popolazioni liguri, il loro modo di vivere, la loro fiera lotta per l'indipendenza contro gli eserciti romani, sono scaglionate su ben dieci secoli, frammentarie e, soprattutto, sono le voci dei vincitori. I Liguri non scrissero di loro stessi, delle loro origini e delle migrazioni che li portarono sul Mediterraneo, dal Rodano all'Arno, né parlarono della loro fierezza, dell'amore per le montagne dalle quali traevano a gran fatica di che vivere e che veneravano, adorandone le vette. Le voci dei Romani ci raccontano di un popolo ribelle, che rifiutò più di ogni altro di piegarsi alla potenza dell'Urbe e sta a noi tradurre la malvagità in spirito indomito, la sedizione in desiderio di libertà. Strabone, Plutarco, Floro e Diodoro Siculo sono concordi nel definire i Liguri come il popolo che più creò problemi agli eserciti romani, caratteristica estremamente negativa agli occhi di questi storici, indice di ferocia barbarica, ma il dato, letto da un altro punto di vista, è il segno della fierezza e dell'indipendenza di un'antica stirpe. Virgilio e Livio ci descrivono i Liguri come genti rozze, incuranti dell'arte, della cultura e della loro stessa storia. Catone dice che neppure essi sapevano da dove provenissero e, ancor oggi, l'origine dei Liguri e le loro migrazioni preistoriche rappresentano un affascinante mistero sul quale gli storici e gli archeologi hanno fatto luce solo parzialmente. Gli studiosi antichi ci hanno lasciato ipotesi varie e spesso in contraddizione fra loro, alle quali occorre, però, rifarsi per un confronto con le teorie più recenti avanzate dai paleoantropologi. Strabone e Diodoro Siculo ritenevano che fossero di origine greca; Plinio, Pseudo Scillace e Festo Avieno li dissero iberici, mentre Plutarco li aveva classificati come celti. Dionigi d'Alicarnasso ricorda che si favoleggiava dei Liguri identificandoli con i mitici Aborigeni, finitimi degli Umbri, ma che, in realtà, nessuno conosceva la loro origine. Più facile era per gli storici antichi rifarsi alla espansione territoriale delle varie tribù liguri, confondendo, però, in questo modo, le terre occupate durante le tappe di una lunga migrazione con quelle dalle quali tale migrazione era partita. I Liguri per un lungo periodo si erano spostati nell'Europa Occidentale acquisendo o abbandonando territori; i vari momenti della loro espansione sono registrati dagli antichi scrittori. Quando Esiodo parla degli abitanti delle coste occidentali del Mediterraneo cita esclusivamente il popolo dei Liguri; Eratostene testimonia la loro espansione territoriale chiamando Ligustica la penisola Iberica, mentre Aristotele ed Ecateo li collocano in Provenza, sul basso Rodano. Polibio dice che i Liguri, incalzati dai Celti a Nord e dagli Etruschi ad Est avevano perso grandemente terreno e si erano ridotti tra il Rodano e l'Arno, comprese le regioni alpine ed appenniniche e il Sud della pianura piemontese. La zona intorno al monte Ebro era abitata dai Liguri Euburiati. Livio ricorda che avevano, un tempo, il dominio dell'intera valle del Po e Giustino afferma che erano stanziati anche nella valle dell' Arno. Questo è quanto ci tramanda la tradizione più antica, né gli scritti degli studiosi dell'epoca medioevale e di quella rinascimentale servono a far luce a proposito dell'origine dei Liguri. Nonostante il procedere della Paletnologia, ancor oggi non esiste una teoria comprovata che possa indicarci le terre dalle quali le prime tribù liguri iniziarono le loro migrazioni. Malgrado le teorie sull'etnogenesi dei Liguri siano varie e spesso in contrasto tra di loro, tutti gli studiosi concordano sul fatto che essi furono fra i più antichi abitatori dell'Europa occidentale. Il Berthelot giunge alla conclusione che i Liguri abbiano avuto origine nell'Europa settentrionale, basandosi sia sui racconti mitologici, sia su dati archeologici quali la rappresentazione del cigno sulle armature, presente nella tarda età del bronzo e l'uso di ornamenti e talismani d'ambra. L'ipotesi turanica, che vuole i Liguri discendenti degli Ugro-Finni, è ormai considerata poco accettabile. Essa si basa sulla comparazione dell'ultimo residuo linguistico della razza turanica, il basco, con i pochi vocaboli liguri giunti fino a noi. Il Curotto confuta questa teoria mettendo in evidenza il fatto che neppure la toponomastica constata alcuna sinonimia tra nomi baschi e nomi liguri. Il fatto che tutti i documenti mitologici connettano i Liguri con il Nord sostiene la tesi dello stesso Curotto, che, poggiandosi alle teorie del Muellehof considera le popolazioni liguri "protoarie", ossia venute in Europa con le primissime migrazioni dall'Asia. Non si conoscono con certezza le regioni dalle quali passarono le ondate migratorie; nulla vieta di supporre che i protoariani, come altri dopo di loro nei secoli, si diressero inizialmente verso il Nord Europa, per poi scendere a Sud, sospinti dall'incalzare di nuovi popoli. I costumi e le attività dei Liguri prima della colonizzazione romana sono stati descritti da storici antichi illustri ed attendibili come Tito Livio e, in epoche recenti, queste testimonianze sono state confermate dai numerosi ritrovamenti archeologici. Le popolazioni liguri, dai Balzi Rossi alla Palmaria, alle sommità dell'Appennino vivevano di caccia, dei prodotti della pastorizia e dell'agricoltura, usavano manufatti litici ed ossei, lavorati con notevole abilità. Il lavoro degli archeologi ha riportato alla luce stupende asce in pietra, levigate con incredibile perizia, talmente affilate e robuste da poter abbattere i grandi faggi appenninici, frammenti di corda e di stoffe di lino. L'uso dei metalli è piuttosto tardo, risale, circa al 600 a.C., periodo nel quale si iniziarono a fabbricare utensili in bronzo; il ferro fu sfruttato quasi esclusivamente per scopi ornamentali. Tito Livio ci parla di una stirpe indomita, rude e fiera, che passava la vita tra le foreste, in lotta con gli elementi e le belve. I Liguri non erano conquistatori di terre e uomini, amavano vivere in sedi fisse, coltivando lino e orzo, melo, nocciolo e castagno. Gli storici romani affermano che la bevanda più diffusa fra i Liguri era la birra, la coltivazione della vite fu introdotta con la romanizzazione. Vivevano in oppida e castella, tenevano conciliabula in apposite piazze e in campi di riunione [Liv. XXI,33,2; XXV,3,6; XXIX,32,2] dimoravano in vici o viculi presso sorgenti e posti, in genere lungo vie frequentate [Liv. XXI,32,7, XXXV,11, XXXIX,2,7]. Le tribù liguri vivevano isolate le une dalle altre, come clan autonomi retti da un capo che presiedeva anche a riti religiosi. La proprietà privata non era in vigore [Giustino XLIII,3,8], nei nuclei familiari esisteva una tendenza al matriarcato, anche se i figli erano riconosciuti dai padri. In caso di grave pericolo i vari clan si associavano per combattere, ma, finita l'emergenza, riprendevano la loro vita indipendente. Esiste una scarsa documentazione a proposito delle credenze religiose degli antichi Liguri, rappresentata soprattutto da epigrafi di epoca romana, provenienti dalle regioni alpine ed appenniniche. Venivano venerate le vette delle montagne, le piante e, soprattutto, le sorgenti [Plin. XXXI,4]. Il culto delle vette era spesso associato a quello dei venti e diverse iscrizioni ricordano la venerazione per il faggio, alto e forte, in grado di sopravvivere a chi lo ha piantato. Il corvo ed il serpente sono spesso raffigurati nella pietra dagli antichi Liguri, erano probabilmente oggetto di culto insieme a tutto ciò che pareva animato o generatore di vita: il sole, la luna la stella del mattino e quella della sera, la terra ed il fuoco. Il legame con la propria terra, quello che spingerà intere tribù a suicidarsi, piuttosto che affrontare la deportazione ad opera dei Romani, appare chiaramente connesso all'adorazione per gli elementi che di quella terra-madre fanno parte. I testi classici forniscono elementi sufficienti per connotare fisicamente e caratterialmente gli antichi Liguri. Diodoro Siculo descrive una razza di individui "tenaci e rudi, piccoli di statura, asciutti, nervosi... Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un'esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenuti nel lavoro. E dal momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per l'intera giornata, abbattono gli alberi, forniti di scuri affilati e pesanti, altri, avendo avuto l'incarico di lavorare la terra, non fanno altro che estrarre pietre... A causa del continuo lavoro fisico e della scarsezza di cibo, si mantengono nel corpo forti e vigorosi. In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare nel medesimo modo degli uomini. Vivendo di conseguenza sulle montagne coperte di neve ed essendo soliti affrontare dislivelli incredibili sono forti e muscolosi nei corpi... Trascorrono la notte nei campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità della roccia o in caverne naturali... Generalmente le donne di questi luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve... essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle condizioni della vita non scevre di pericolo" [Diod. IV,20,1,2]. Lucano descrive la capigliatura lunga e irsuta dei Liguri, mentre Livio parla della loro resistenza alla fatica, dell'agilità e velocità nella corsa [Liv. XXIX,2,3; XXXIX,16,4; XL,27,12]. Cicerone narra di uomini attivi, forti e intrepidi [De lege agraria] e del medesimo avviso è Virgilio, nelle Georgiche, anche se, poi, nell'Eneide descrive i Liguri in modo assai poco lusinghiero, facendoli apparire come astuti, mendaci e perfidi, in grado di trarsi d'impaccio con trovate abili ed insidiose. Il medesimo quadro del carattere ligure ci viene fatto da Catone e dalla maggior parte degli storici romani ed ancora si sente in questi scritti la voce del popolo dominatore, troppo spesso e troppo a lungo beffato da bande di rozzi montanari. Vincitori o vinti i Liguri furono sempre dei ribelli [Liv. XXXIX,1; XL,18], tanto da non riconoscere capi carismatici che li guidassero nelle lotte per l'indipendenza. Rispettosi della libertà altrui come della propria, non si ricorda nessuna spedizione di conquista partita dai loro monti, ci appaiono attraverso i secoli quasi fatti ad immagine delle loro aspre montagne, duri e stabili come esse. L'inizio delle guerre romano-liguri risale al 237 a.C.; la fine si ebbe dopo la sconfitta di Cartagine, intorno al 180 a.C., con la pace degli Ingauni e la deportazione dei Friniati nel Sannio. Le guerre di Roma contro i Liguri, proprio a causa del profondo bisogno di indipendenza insito nell'animo di questi ultimi, furono lunghe, dure ed aspre. Per mettervi fine i Romani non trovarono altra via che la deportazione in massa dei popoli che avevano dato più filo da torcere ed i Liguri ancora una volta seppero ribellarsi anteponendo la libertà alla loro stessa vita. Narra Livio che una intera tribù sub radice Alpium scelse la via del suicidio collettivo per non abbandonare la terra degli avi. La sconfitta definitiva dei Liguri viene storicamente determinata con la pace degli Ingauni ed è strettamente legata alle vicende delle guerre romano-puniche. Negli anni che seguirono immediatamente la fine della prima guerra punica, una coalizione dei Boi e dei Liguri aprì le ostilità contro Roma; nel 238 a.C. si sfiorò la guerra, ma sorsero attriti fra i confederati e l'alleanza si sciolse. Con la marcia di avvicinamento di Annibale alle Alpi arrivò per i Liguri, per i Galli Boi ed Insubri la speranza della rivincita su Roma. I Romani avevano sottomesso le popolazioni della valle Padana tra l'Appennino e il Po, tra Clastidium (Casteggio) e i Boi, nel 222, sotto la guida del console Flaminio Nepote. Gli abitanti di questa zona erano Liguri; Plinio li cita erroneamente come Galli Anari ed Anamori, nomi che caratterizzavano due tribù liguri, come dimostra Tito Livio. Anari-Anamori significa "abitanti di zone soggette ad acqua": furono i costruttori di palafitte della zona padana. Annibale preparò e sostenne la rivolta sul Po del 218, che distolse le due legioni di Publio Cornelio Scipione (padre di P. C. Scipione l'Africano, il vincitore di Zama, che a quest'epoca, diciassettenne segue il padre e già si distingue in battaglia), impedendo al console di imbarcarsi per la Spagna. Quando i Romani furono pronti a Pisa con un nuovo contingente, Annibale era oltre il Rodano; lì tentarono di intercettarlo, contando sull'appoggio dei Massilioti, da sempre avversi a Cartagine, ma non ebbero successo. Il condottiero cartaginese ebbe guide dai Boi e dagli Insubri, che gli mostrarono il cammino verso i valichi alpini loro noti. Gli indicarono probabilmente la via del Monginevro, che le tribù dei Galli avevano disceso a suo tempo per stanziarsi nella Pianura Padana. Annibale, ci tramanda Polibio, riteneva che Scipione lo attendesse a quel valico già noto: risalì la valle dell'Isère e si fece guidare dagli Allobrogi lungo il cammino delle Alpi. I Liguri furono le guide di Annibale sull'Appennino: come gli Allobrogi dovettero accoglierlo con ogni onore. Il condottiero punico era palesemente l'unico in grado di opporsi all'arroganza romana, con il suo grande esercito e i trentasette elefanti, che avevano superato indenni le nevi alpine. I grandi animali esotici dovettero sembrare ai montanari macchine da guerra terribili, indici di un potere quasi divino; li videro poi morire di stenti quasi tutti prima della battaglia della Trebbia. I Liguri, come i Boi, gli Insubri e gli Allobrogi fornirono esploratori e truppe ad Annibale, partecipando al secondo scontro fra Romani e Cartaginesi, quello sul fiume Trebbia. Nell'accanita lotta lungo le rive della Trebbia Annibale seppe trovare un nuovo, feroce alleato locale. Aveva scelto con cura le posizioni sulle quali attestarsi, narra Polibio, studiando la natura dei luoghi della riva sinistra del fiume, dopo aver disceso i sentieri che i Liguri gli avevano mostrato; il campo romano, dove Scipione giaceva ferito nella sua tenda, stava sull'altra riva. Prima dell'alba nutrì abbondantemente uomini e cavalli e li fece riscaldare intorno a grandi fuochi; ai soldati fornì olio di oliva, perchè si ungessero il corpo e lo proteggessero dal nevischio che cadeva a raffiche, poi cercò lungo il corso del fiume un luogo dove riparare una parte delle sue truppe ed attaccò i Romani, provocandoli a tal punto che essi uscirono digiuni nel freddo del mattino. Fingendo di ritirarsi li spinse a guadare il fiume e il nuovo alleato colpì, col gelo delle sue acque, placide solo in apparenza. I legionari semiassiderati che uscirono dalla Trebbia combatterono con valore, ma alla fine degli scontri, dopo che Annibale aveva messo in campo le truppe nascoste all'alba lungo la riva, la Trebbia era gonfia di corpi e di scudi [Silio Italico]; dice anche che gli stessi Cartaginesi erano a tal punto tormentati dal freddo "che sentirono appena la letizia della vittoria". Dopo la partenza dell'esercito vittorioso, l'eco della gloria di Annibale rimase nelle valli dell'Appennino: a lungo nei secoli dei secoli ed ancora ai giorni nostri, se a Bobbio si stampa un giornale -- "La Trebbia" -- che porta nella testata... un medaglione di Annibale [G Granzotto, Annibale, Mondadori, 1980]. La sconfitta di Cartagine alla fine della seconda guerra punica segnò un momento decisivo e tragico per i Liguri: Roma, liberatasi del grande nemico potè concentrare le sue forze per la pacificazione del suolo italico. Dal 180 a.C., nonostante qualche sporadica insurrezione, i Liguri entrarono nell'orbita dell'Urbe; combatterono valorosamente per Roma nella guerra contro Giugurta ed in quella contro i Cimbri e i Teutoni. ...Quos timuit superat; quos superavit amat (Roma) [Rutilio Namaziano Itin. I,72] Il territorio dei Liguri divenne la IX Regio; ne abbiamo scarse notizie, per lo più riguardanti Albingaunum (Albenga) e Albintimilium (Ventimiglia). Livio narra che, dopo la sottomissione a Roma, parte dei Liguri fu forzosamente trasferita in pianura [Liv. XXXIX,2,4; XL 53,2]; chi rimase sui monti fu privato delle armi e lasciato alla sua vita primitiva [Floro I,19; Diod. V 39]. Gli insediamenti liguri situati nei punti strategici dell'Appennino (oppida, fora, castella, vici..) assunsero sempre più importanza col progredire della rete viaria romana nella zona. Nel 109 a.C. il censore Emilio Scauro fece tracciare lungo l'Appennino Ligure la via Aemilia Scauri, che prolungava una strada già esistente, costruita da Aurelio Cotta due secoli prima. Nel 12 a.C. la via Aemilia Scauri fu continuata da Augusto e prese il nome di Julia Augusti. Augusto fece anche ripristinare la via che collegava il porto di Vado con Aquae Statiellae (Acqui Terme) e Derthona (Tortona), attraverso la valle Bormida, e quella che dalla costa risaliva la valle del Tanaro, verso Pollentium (Pollenzo presso Bra) e Alba Pompeia (Alba). Le vie romane diedero una svolta decisiva alla vita economico- culturale della Liguria incentivando la crescita delle città costiere, che divennero centri portuali e commerciali sempre più fiorenti. Dall'Appennino prese il via un flusso migratorio diretto alle città litoranee quali Genua, da un lato, o ai grandi centri della pianura come Derthona e Vicus Iriae (Voghera). La pacificazione delle tribù liguri, con la conseguente fusione con Roma, può essere datata intorno al 7 a.C., quando fu innalzato il trofeo delle Alpi alla Turbia, presso Monaco, per celebrare le vittorie di Augusto e l'unificazione dell'Italia (diis sacra) [Plinio, N.H., III,20] entro il confine delle Alpi.

 

 

Tra da un lavoro di Maria Rita Zibellini e Roberto Rossi

(www.appennino4p.it)



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