La Val Dragone nella storia | |
Emigrazione
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Emigranti di Costrignano nella miniera di Cherry
Minatori a Cherry nel 1914. Da sinistra: Barbati Sante, Gualtieri Gelindo, Ricchi Cesare, Pietrosemoli Lodovico.
di Fabrizio Martelli
Dopo l’interessante articolo di Silvano Braglia sulla terribile disgrazia mineraria di Cherry nel 1909, è giusto riprendere l’argomento con ulteriori informazioni sull’emigrazione in generale e su quella disgrazia in particolare, perché sono argomenti che hanno riguardato diversi nostri compaesani.
Infatti, tra il 1884 e il 1920, dal comune di Montefiorino, da cui dipendeva allora Palagano, risultano emigrate in varie parti del mondo oltre 5500 persone. La nostra montagna povera, con famiglie numerose e con tante bocche da sfamare, offriva altrove le braccia lavorative.
I montanari partivano con coraggio, nella speranza di poter guadagnare un po’ di soldi e ritornare poi al paese d’origine.
Chi partiva per il Nord America, s’imbarcava a Genova o nel Nord della Francia e, dopo poco più di due settimane di dura traversata stipati in cabine non certo confortevoli, sbarcava nel porto di Ellis Island, davanti a Manhattan. Da qui venivano smistati in vari luoghi e destinati alle attività più svariate: nelle piantagioni di cotone, nelle miniere, nella costruzione di ferrovie, o in altri umili e duri lavori.
Qualcuno fece fortuna, ma non tutti riuscirono a sfondare. Alcuni tornarono più poveri di prima, stanchi e malati; altri rimasero per sempre lontano; qualcuno perfino ci rimise la vita.
Questa, che è storia comune a tanti emigrati nel nuovo mondo, ha interessato anche molta gente della nostra terra, come le nostre otto vittime perite nella miniera di Cherry nel 1909.
Partiti dai nostri monti, raggiunti il mare e il porto prestabilito, sopportata la traversata in condizioni disumane, sbarcati nel porto di Ellis Island, erano passati a Chicago nell’Illinois per giungere finalmente a Cherry, la miniera del loro lavoro. Ma il loro sogno, il sogno americano, si infranse nel disastro del 13 novembre 1909.
Infatti, tra le 44 vittime emiliane dei 259 morti di quel disastro, figurano gli 8 del comune di Montefiorino: Antonio Barozzi, Eligio Casolari, Angelo Costi, Eliseo Costi, Bartolomeo Lanzotti, Ilario Maestri, Cesare Ricchi e Gelindo Gualtieri.
I loro nomi sono ricordati nel libro "Grande disastro", scritto subito dopo la catastrofe da Antenore Quartaroli, un minatore di Boretto (RE), che miracolosamente si salvò dopo vari giorni di inferno. In quel terribile disastro, alcuni minatori del nostro comune non furono coinvolti, solo perché non facevano parte di quel turno di lavoro. Tra questi sono da ricordare i due di Costrignano: Sante Barbati e Lodovico Pietrosemoli.
La presenza numerosa di nostri montanari nella stessa miniera, ci ricorda che gli emigranti non partivano mai da soli, ma in gruppo. Venivano reclutati da procacciatori che giravano per la montagna, poi le notizie si diffondevano con il passaparola, così erano parenti, amici, giovani dello stesso paese o di paesi vicini, che partivano insieme per un’avventura con la speranza di migliorare la vita.
Gli 8 nostri compaesani morti a Cherry, erano stati destinati a questa nuova miniera. Allora il carbone era materiale assai richiesto, soprattutto nelle ferrovie, nell’industria e nel riscaldamento. Solo nell’Illinois, all’inizio del 1900, erano attive una ventina di queste miniere. Cherry aveva ottenuto l’autorizzazione nel 1904 e nell’anno successivo iniziò l’estrazione e contemporaneamente la costruzione del paese per i minatori.
I pozzi furono fatti profondi 200 metri con tre vene orizzontali capaci di fruttare 30.000 tonnellate di carbone al mese. Era una miniera che prometteva una buona rendita alla Società che la gestiva, anche perché poté sfruttare subito l’energia elettrica proveniente dalla vicina città di Ladd ed era ben servita dalla ferrovia.
Queste notizie prese da due pubblicazioni, "Grande disastro" di Antenore Quartaroli e "La valigia di cartone" di Walter Bellisi, unite alle foto di proprietà di Elide Gualtieri, parente di una delle vittime, e completate dalla ricerca nell’archivio parrocchiale di Costrignano, permettono di ricostruire con certezza alcuni particolari anagrafici di quattro minatori di Costrignano, di cui due periti nel disastro. Si tratta dei quattro amici fotografati insieme all’uscita dalla miniera e sono: Barbati Sante nato il 13 giugno 1876, Gualtieri Gelindo nato il 22 luglio 1881, Ricchi Cesare nato il 6 luglio 1879 e Pietrosemoli Lodovico nato il 14 ottobre 1865. Per quanto riguarda i due periti in miniera, Gelindo Gualtieri e Cesare Ricchi, sono documentate le seguenti informazioni: Gelindo Gualtieri era figlio di Vincenzo e di Ricchi Maria, figlia di Anania; Ricchi Cesare (negli elenchi americani è sempre scritto Ricci a motivo della pronuncia inglese) era figlio di Domenico (figlio a sua volta di Anania) e di Anna Abati. I due minatori morti erano quindi cugini, avendo in comune lo stesso nonno Anania.
Entrambi, prima dell’ultima partenza per l’America si erano sposati a Costrignano: Cesare con Maria Baldoni il 12 agosto 1909 e Gelindo con Maria Monti il 30 settembre 1909.
Ben poco, però, durarono le loro famiglie.
Il fuoco nella miniera del 13 novembre di quello stesso anno, spezzò presto la vita dei due cugini, lasciando vedove le loro giovani mogli.
Per vari mesi continuarono le ricerche dei poveri minatori intrappolati e morti nelle gallerie sotto terra. I resti mortali dei due cugini Gelindo e Cesare, composti nelle bare, furono portati nel vicino cimitero di Ladd, e sepolti accanto. Nello stesso cimitero sono documentate pure le tombe di altri due morti di Montefiorino, Angelo Costi ed Eliseo Costi.
Intanto la notizia del disastro era giunta in Italia.
A fine novembre, il giornale "La Domenica del Corriere" dedicava la copertina a questa sciagura, ricordando che molti minatori erano italiani. La notizia arrivò anche nelle nostre montagne. Il dolore e la costernazione delle famiglie colpite furono grandi.
Da Costrignano, Dovindo Gualtieri, fratello di Gelindo, appena poté, partì per l’America, non per lavorare, ma per riaccompagnare a casa la giovane cognata vedova, che poi sposò il 12 gennaio 1911.
Nel ritorno in Italia, portarono le poche cose che avevano e, tra esse, alcune foto di famiglia e della sciagura. Sono queste foto originali i documenti più eloquenti di questa immane tragedia. Esse ci presentano in una sequenza tragica: la miniera, alcuni corpi recuperati e allineati sotto una tenda mortuaria, il riconoscimento di un cadavere, alcune bare con parenti e amici, il trasporto delle bare, orologi e oggetti personali dei poveri minatori, una ventola costruita nella terza vena per respingere il fumo, le tombe dei due cugini sepolti vicino… Sono tutte foto conservate con cura, come reliquie, e oggi ci aiutano ancora a non dimenticare.
Degli altri sei di Montefiorino, periti nella stessa miniera, rimane ancora da individuare le loro famiglie e i dati anagrafici.
Anche per loro deve continuare con interesse la ricerca e lo studio, per non dimenticarli.