La Val Dragone nella storia |
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Periodo estense |
Risale al 1337 la stesura degli "Statuta et ordinamenta comunis et populi Frignani seu Universae ditionis Sextulae". Sono questi i primi statuti del Frignano voluti dai marchesi Nicolò e Obizzo d’Este ed elaborati da sette nobili, nove notai e cinque frignanesi. Gli statuti rappresentano la legislazione cui dovevano sottostare tutti gli abitanti di un territorio e in questo periodo storico erano quanto mai necessari essendosi realizzati profondi cambiamenti politici e civili. Inoltre si tentava di uniformare la legislazione precedente ai contenuti degli Statuti di Modena redatti nel 1327. Il Frignano, che venne costituito a Provincia con capoluogo Sestola, salvo brevi interruzioni, rimase sotto la Signoria Estense fino al 1859.
Nella Podesteria di Rancidoro, nel 1547, gli uomini di Medola, Boccassuolo, Palagano, Costrignano, Monchio, Rancidoro e Mirasole chiesero di aggiornare gli statuti vigenti e nel 1551, a Palagano, furono pubblicati i nuovi che rimasero in vigore fino al 1777 quando furono sostituiti dal Codice Estense, unica legislazione valida in tutto il Ducato.
Nel 1510 Papa Giulio II, occupò Modena e tentò di conquistare anche il Frignano. La maggior parte degli abitanti, però, rimase fedele al Duca Alfonso I d’Este in questo ed in altri tentativi di invasione avvenuti successivamente fino al 1521 quando, alleatosi con Carlo V, papa Leone X tentò nuovamente l’occupazione del Frignano. Le popolazioni, ormai allo stremo, si assogettarono quasi spontaneamente (vennero consigliate in tal senso anche dal Duca che non poteva provvedere ad una efficace difesa). La signoria papale durò solo un paio di mesi. Lo stesso anno Leone X morì e il popolo del Frignano si sollevò a favore di Alfonso I d’Este che riottenne il dominio nel Modenese. La Provincia del Frignano fu ricompensata con la conferma di una serie di privilegi già concessi in passato per la fedeltà che queste popolazioni avevano dimostrato agli Estensi.
Gli anni successivi furono ancora caratterizzati da incursioni e scontri, soprattutto tra le fazioni di Morotto delle Carpinete e Cato da Castagneto, che gravarono pesantemente sulla popolazione. Nel 1523 fu stipulato un trattato di pace ma la montagna modenese continuò, per anni, ad essere teatro di violenze, atrocità, saccheggi, omicidi, ruberie e tentativi di repressione da parte delle autorità.
Già dal 1528 il Duca Alfonso I d’Este concesse in feudo a Vincenzo Mosti, nobile ferrarese, e nel 1534 a suo figlio Alfonso, le Contee di Rancidoro e Medola. Successivamente i due feudi furono unificati in uno solo con capoluogo Rancidoro. La Contea di Rancidoro comprendeva i comuni di Boccassuolo, Lago, Palagano, Costrignano, Monchio, Cadignano e Pianorso.
Nel 1598 gli Estensi persero Ferrara e con essa una terra fonte di ricchezze per cui tasse straordinarie gravarono sul rimamente territorio, compreso il Frignano. Queste tasse risultarono ancora più pesanti perchè capitarono in un periodo particolarmente critico a causa delle carestie degli anni precedenti.
Il 1631 fu l’anno dell’epidemia di peste che colpì buona parte d’Italia e le comunità della Valle del Dragone non furono risparmiate. A Palagano, tra maggio e ottobre, morirono 291 persone, più della metà della popolazione!
Con la morte del Conte Antonio, avvenuta nel 1734, la famiglia Mosti-Este si estinse e la Contea di Rancidoro passò sotto la diretta signoria degli Estensi fino al 1741 quando Francesco III nominò il nuovo feudatario: il Conte Alessandro Sabbatini di Fanano. Il dominio dei Sabbattini non durò molto in quanto nel periodo napoleonico i feudi furono soppressi e i loro beni incamerati.
Nel periodo napoleonico la Provincia del Frignano fu abolita ed incorporata nel dipartimento del Panaro. Il territorio fu interessato da frequenti passaggi di truppe straniere. Oltre alle violenze, ruberie e furti d’opere d’arte nelle chiese il fatto che indignò particolarmente la popolazione fu la soppressione di tutti gli ordini religiosi. Napoleone impose il servizio militare obbligatorio. Tutto ciò favorì la diserzione e il brigantaggio. Anni particolarmente duri furono il 1809 ed il 1810. Bande di briganti si resero responsabili di molte malefatte, ma non minori furono quelle compiute dalle truppe regolari mandate dai Comuni per dar loro la caccia.
Il 15 luglio 1814, caduto Napoleone, il Duca Francesco IV D’Austria-Este riprese il possesso del ducato di Modena e subito ripristinò l’antica Provincia del Frignano. Furono anni molto duri. Il Frignano, ed in particolare le zone montane, erano allo stremo a causa delle continue guerre, del brigantaggio, dei cattivi raccolti, delle epidemie (tifo, colera) e delle carestie.
Nel 1846 morì Francesco IV e gli successe il figlio Francesco V. Nel 1859 i moti rivoluzionari, che portarono all’unità d’Italia, lo costrinsero all’esilio e il Ducato di Modena-Reggio-Guastalla-Massa Carrara cessò di esistere e fu inglobato nel nuovo Regno d’Italia.
Diverse testimonanze storiche riportano resoconti di uccisioni, violenze e rappresaglie ad opera di briganti.
Nel 1483 il commissario Salimbeni lamenta che " In questo paese del Frignano, al presente, non se tracta altro che amaxare homini"; nel 1544 Ercole II, Duca di Modena, afferma che "enormi assassinamenti e continue rappresaglie, fossero fatte nel Frignano, dai banditi che si introducono e pigliano or questo or quello, non restituendo se non dopo aver pagato una taglia"; il 20 ottobre 1636, il Podestà di Montefiorino, Pietro Vologni, scrive al Duca: " Cresce giornalmente l'ardire di alcuni malviventi, (...) i quali si fanno lecito venire quivi a commettere ogni eccesso non tanto di furti, quanto d'altri delitti"; nel 1809 il Sindaco di Palagano riferiva al Prefetto di Modena: "Molti disertori e molti refrattari di questo comune poco fa venuti dalle maremme toscane, nelle attuali circostanze si lasciano vedere quasi pubblicamente (...), mostrando di vivere tranquillamente in dispregio, direi quasi, delle leggi e degli amministratori", e terminava invocando la forza pubblica per l'arresto o almeno per la fuga di quegli sciagurati.
Altro elemento di cui si deve tener conto è che la rivoluzione francese, dopo una breve esaltazione, lasciò una situazione peggiore di prima, all'endemica povertà si aggiunsero la coscrizione obbligatoria, la soppressione degli ordini religiosi e contribuzioni capestro, tutti fatti che portarono molti giovani a darsi disertori piuttosto che assoggettarsi al servizio militare; si formarono così bande ben organizzate che per sopravvivere svaligiavano le case (di preferenza) dei più ricchi o dei simpatizzanti per il movimento rivoluzionario francese.
"E' vero che per le circostanze della forza si sono avviliti e stanno in patria ammansiti ma vivono in uno stato di violenze e non si possono trattenere di quando in quando di fare delle aggressioni alle famiglie come hanno fatto ne' passati giorni quelli di Boccassuolo nella sezione di Cavola, derubando la carne di due maiali, mobili, ecc..." (da L'Appennino Modenese).
Non peggiori, però erano le rappresaglie che compivano i soldati inviati dalle Prefetture per combattere questi delinquenti. Soprattutto i francesi si macchiarono di violenze anche peggiori di quelle compiute dai briganti. Riportiamo un brano tratto dal capitolo "Vicende politiche e civili" di V. Santi pubblicato sul "L'Appennino Modenese": "Le popolazioni, tramite i Sindaci e i Ricevitori di Finanza, esposero le loro lagnanze per i pericoli a cui venivano lasciati esposti ed invocarono solleciti provvedimenti. Fra gli altri il "Ricevitore" di Pievepelago il 4 marzo del 1810 scriveva all'intendente di finanza di Modena: "Se mai avesse informazioni e credesse che in queste parti fosse estinto il brigantaggio sarebbe stato ingannato e tradito. I briganti vi sono ancora nelle Comuni di Pian de' Lagotti e Boccassuolo e le persone dabbene che stanno avvertite sanno i lor pensieri e le loro massime".
Pietro Lenzotti, di Boccassuolo, riferendosi a don Giovanni Pasini, arciprete di Palagano, suo contemporaneo, scrisse: "(...) questo prete fu molto benemerito della patria, quando nell'autunno del 1809 (ed io stesso ben me ne ricordo) nel giorno in cui precisamente i francesi avevano incendiato la casa del sig. Ruggi Luigi di Palagano, perchè con Pavolo suo figlio erasi messo alla testa del brigantaggio, orda formata allora di robusta gioventù, disertori e refrattari della truppa Italiana. Avendo i briganti armati teso un'imboscata alle truppe franco-italiane che dopo quello incendio sfilavano verso Boccassuolo, una falange di briganti dai 400 ai 500 le stavano aspettando sui Cinghi di Vetta facendole fuoco contro disperatamente e gli avrebbero condotti a male se i francesi cautamente e strategicamente non avessero da Palagano inviato un distaccamento dietro il torrente Rossenna giungendo così inosservati a guadagnare le alture de' suddetti Cinghi e a far loggiare i briganti. Per la qual scaramuccia arrivati i francesi alla terra di Boccassuolo inveleniti dall'iracondia, le diedero prima il sacco poi cominciarono ad appicare il fuoco alle case. Mio zio don Pietro unitamente a mio padre Matteo, che faceva allora le funzioni di sindaco a Palagano, cui era Boccassuolo soggetto, affrontando le furenti iracondie delle truppe, saliti all'uopo al Sastello si trassero davanti all'ufficiale comandante della colonia e tanto dissero e provarono che ottennero la sospensione dell'incendio e del saccheggio non andando in fiamme che una casa di Agostino Bernardi posta alle radici superiori della Cinghia verso il paese chiamato Ca' di Francone; le non peraltro accese del tutto scranne, pagliericci e attrezzi che i soldati tiravano in mezzo per appiccarvi il fuoco furono salve. Mia madre che trovavasi ancora in stato di puerperio, credendo di sottrarsi alla licenza militare fuggì di casa e andò a ricoverarsi con l'infante nel mulino di zio Domenico Felici in cui credevasi sicura, e la truppa che dirigevasi a Frassinoro andò a passare vicino a quel mulino un tiro di pietra. Fortunatamente non sapendo cosa andare a fare dietro al fosso dove era il mulino, mia madre non soffrì disturbo. Io ero stato mandato da mio padre colle cavalle, quattro o cinque capi, nei nostri boschi di Sassatella, oltre il Dragone, con scatoloni e sacchi pieni di carte, che contenevano i documenti di famiglia, con altri della Villa essi pure fuggiti. Non tanto lontano venne a passare la truppa da noi, poichè a Boccassuolo, anzi a casa nostra, alla Villa, si divise in due colonne, una andò per Casoni di Vetta e Sassatella a Frassinoro, e l'altra per Ca' de Felici, Montino al luogo suddetto. Noi vi eravamo in mezzo, ripassammo il Dragone e buon nerbo di truppe francesi erasi installate a Boccassuolo. Quali palpitazioni e quanti pericoli non si corsero in quelle vicende! Venivano i francesi e volevano incendiare le case perchè i briganti ci si erano fermati, partivano i primi, tornavano i secondi e minacciavano l'incendio per aver dovuto tollerare e governare i francesi."