La Val Dragone nella storia
 

Preistoria


Preistoria  |  Introduzione | I primi modenesi | Età paleolitica | Età mesolitica | Età neolitica e eneolitica | Età del bronzo: le terramare | Liguri friniati| Età del ferro | Umbri ed etruschi | Celti (Galli) | E i primi? L'ingresso nella storia

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Le prime tracce dell'uomo nelle valli del Dragone

(La luna nuova, marzo 2012 - num. 39)

 

Età del bronzo - Il sito di Monte Santa Giulia

(La luna nuova, marzo 2013 - num. 42)

 

 

 

Introduzione

Le più antiche tracce della presenza dell’uomo nel modenese (reperti rinvenuti in pianura e in collina, soprattutto nei Comuni di Spilamberto e Castelvetro) risalgono a non più di 200.000 anni fa, all'età paleolitica, o della pietra antica.

L’appennino, invece, ha restituito poco materiale, e il più antico non risale a più di 10.000 anni a.C. (Mesolitico).

A Pescale, nel comune di Prignano; dove il fiume Secchia riceve le acque del rio Pescarolo, sorge una spianata, detta del Castellaro, dove tra la fine del 5° millennio e la  metà del 3° si sviluppò una comunità preistorica.

Recentemente (primi anni '90) nelle valli del Dragone, del Dolo e del Rossenna sono stati identificati alcuni luoghi dove sorgevano villaggi risalenti all'età del Bronzo (1.700-800 anni a.C.): nel Comune di Palagano a Monchio (S. Giulia), a Costrignano (La Campagnola) e a Poggio Bianco Dragone; nel Comune di Montefiorino a Montestefano, al Calvario e nei pressi della Rocca; nel Comune di Frassinoro a S. Biagio; nel Comune di Polinago a Monte S. Martino.

Non è possibile tuttavia escludere che uomini siano vissuti, o transitati, nel modenese, compreso l’Appennino, in epoche più antiche a quanto indicato da così limitati ritrovamenti. Frecce e coltellini in selce trovati sul monte Cimone testimoniano che in epoce preistoriche uomini si spinsero anche ad elevate altitudini (il Cimone supera i 2000 metri).

 

 

I primi modenesi

Da dove arrivarono i primi abitanti del modenese? E’ possibile solo azzardare alcune ipotesi. Ad esempio: si ritiene di poter scartare la discesa da nord in quanto la catena delle Alpi rappresentò un ostacolo praticamente insormontabile. Anche la via del mare, richiedendo mezzi adeguati per la navigazione, verrebbe esclusa. Una teoria ritiene che i primi "modenesi" potessero provenire da oltre Adriatico, attraversando aree, oggi sommerse dal mare Adriatico, ma  che allora erano terra ferma che collegava la Pianura Padana alle coste della ex-Jugoslavia. Infatti, durante la glaciazione il livello del mare era più basso di almeno un centinaio di metri.

Di queste epoche preistoriche mancano, ed in particolare nell’Appennino, ritrovamenti sufficienti e tali da poter giungere a conclusioni più certe. Eventi geologici e climatici (basti pensare alle glaciazioni e ai successivi periodi post-glaciali) hanno provocato la dispersione e la distruzione di molto materiale, sommerso e trascinato a valle, lontano dalle zone di origine. Nel sottosuolo della Pianura Padana il materiale di provenienza appenninica ha costituito uno strato di circa 2 Km di spessore in cui le tracce di eventuali abitanti della montagna sono andate disperse o distrutte ed ha seppellito altro materiale della collina e della pianura.

Con probabilità le genti preistoriche si stabilirono inizialmente lungo i corsi dei fiumi, per primi il Secchia ed il Panaro, addentrandosi sempre più nel territorio lungo il corso degli affluenti. La collina e la pianura, essendo le aree più favorevoli, furono maggiormente popolate, mentre la montagna potrebbe essere stata sede di insediamenti periodici o stagionali ed area di transito e di caccia.

 

 

Paleolitico (900.000-13.000 a.C.)

Il Paleolitico (o età della pietra antica) è un lunghissimo periodo suddiviso, schematicamente in inferiore, medio e superiore.

Il Paleolitico Inferiore (900.000-100.000 anni a.C.), periodo con clima temperato, sostanzialmente corrisponde al periodo interglaciale compreso tra la glaciazione di Riss e quella di Wurm. Il Paleolitico Medio (100.000-40.000 a.C.), invece, è stato caratterizzato dall’ultima delle glaciazioni, quella di Wurm. Il fatto che nel modenese e nel reggiano siano stati trovati resti fossili di elefanti, ippopotami e rinoceronti (e in Puglia ossa di pinguino!) può aiutarci ad immaginare l’entità dei cambiamenti climatici ed ambientali avvenuti. Attualmente ci troviamo in un periodo interglaciale, tra la glaciazione di Wurm ed una futura.

I laghi Santo, Baccio, Turchino ed altri ancora sono di origine glaciale,  testimoni della presenza in epoche antiche di ghiacciai in Appennino..

Gli uomini del paleolitico erano dediti soprattutto alla caccia (utilizzando armi in pietra scheggiata, bastoni in legno, ossa di animali...), ma anche alla raccolta ed alla concia delle pelli, attività quest’ultima fondamentale per permettere la sopravvivenza in un clima così rigido. Vivevano in capanne costruite con rami e pelli di animali. Almeno nelle età più tarde era uso seppellire i propri morti ma nessuna traccia di queste sepolture è stata ritrovata nel modenese. Col passare dei secoli viene acquisita la capacità di lavorare sempre più finemente la selce, costruendo lame ed anche oggetti decorativi e rituali, come ciondoli e sculture.

Le tracce degli eventuali abitanti dei monti sono andate in gran parte distrutte trascinate a valle e disperse nel periodo post-glaciale, che terminò circa 10.000 anni a.C. a cui seguirono profonde trasformazioni ambientali.

Reperti archeologici riferibili all’età paleolitica nell’Appennino non ne sono venuti alla luce, a differenza della collina e pianura. Nelle zone di Savignano, Vignola, Spilamberto e Castelvetro, invece, sono stati trovati raschiatoi, schegge, punte di frecce, amigdale oltre ad una scultura: la Venere di Solignano, una delle più importanti creazioni artistiche paleolitiche.

I segni più antichi della presenza dell’uomo nel modenese sono due amigdale trovate a Spilamberto (Collecchio) e a Castelvetro (Mesiane), risalenti a circa 200.000 anni fa. Le amigdale erano strumenti ottenuti scheggiando ciottoli conferendo la forma di grossa mandorla, forma ideale per essere tenute in mano, ed utilizzate come arma da lancio, da taglio, martello ed ascia. Furono manuffatti talmente efficaci e versatili tanto da essere utilizzate e perfezionate per migliaia di anni.

 

 

Età mesolitica (13.000-8.000 a.C.)

Alle glaciazioni, che hanno stretto nella morsa del freddo e del gelo l’Europa per quasi un milione di anni, seguì un periodo di clima temperato che portò a progressive e profonde modificazioni nella fauna e nel paesaggio. Le quote appenniniche si abbassarono (c’è chi dice anche di 600 metri), in pianura le foreste cedettero il posto a boschi di latifoglie e in Appennino si sviluppò una prateria alpina che favorì la l’ingresso degli uomini e la tendenza a permanervi più a lungo.

L’uomo continuò a vivere soprattutto di caccia, ma di tipo diverso (mammut, bisonti e renne lasciarono il posto ad animali di più piccola taglia: cervi, caprioli, buoi selvatici, cinghiali...), e di raccolta, in un ambiente simile all’attuale. Si sviluppò la produzione di oggetti da innestare su supporti in legno o in osso con la creazione di utensili quali punteruoli, lisciatoi, frecce, lame, grattugie.

Alcune zone, soprattutto dislocate lungo i crinali appenninici anche nel modenese e reggiano (Passo della Comunella, Cava Due Portoni, Campegine e altri), hanno restituito tracce del passaggio di cacciatori mesolitici, quali frecce e coltellini.

 

 

Età neolitica (o della pietra nuova, 4.500-2.600 a.C.) ed eneolitica (o del rame, 2.500-1.800 a.C.)

In questi periodi, anche grazie al clima particolarmente favorevole, avvenne uno degli eventi fondamentali per l’umanità: oltre alla caccia e alla raccolta l’uomo apprese le tecniche dell’agricoltura (importate dall’oriente) e dell’allevamento (maiale, pecora, bue, capra), oltre alla capacità di modellare argilla per realizzare ceramiche, di tessere e lavorare la pietra e l’osso, creando strumenti sempre più perfezionati e levigati.

Le abitazioni erano rappresentate da capanne a base rotonda od ovale costruite utilizzando un’armatura di legno e di argilla.

L’attività agricola favorì il sorgere di comunità sempre più stabili (mentre in epoche precedenti lo stile di vita era necessariamente di tipo nomade), oltre allo sviluppo del commercio e di attività artistiche. L’uomo, quindi, progressivamente cessa di essere nomade e dipendente da quello che gli fornisce spontaneamente la natura ed inizia a produrre cibo e a modificare l’ambiente a proprio favore.

Anche la maggior parte dei reperti di questo periodo sono stati rinvenuti in pianura e collina (Fiorano, Pescale, Maranello, Formigine, Spilamberto, Casinalbo), e comprendono ceramiche, fondi di capanne e tombe. Il più antico ed importante insediamento umano documentato nel modenese è quello di Fiorano. Di interesse è il villaggio preistorico di Pescale, nel Comune di Prignano, dove comunità umane vissero per almeno 3.000 anni.

In Val Dragone sono venuti alla luce alcuni oggetti, risalenti al neo-enolitico finale, a Monchio, in località S. Vitale, a Piandelagotti nei Prati di S. Geminiano e a Ca’ dei Ravani (punta di freccia), a Frassinoro (accetta di pietra verde levigata).

Anche in altre zone montane sono venuti alla luce materiali neo-eneolitici, ad esempio a Roccapelago e Fiumalbo (punte di frecce), nell’Appennino reggiano (Casina, Villa Minozzo, Monte Misura), Monte Cusna e Monte Cimone (punte di freccia, coltellini, lamette, raschiatoi ottenuti da piccole schegge di selce).

Il II millennio a.C. è il millennio del vero popolamento della collina e della montagna. Pecore, buoi selvatici, cinghiali, cervi, orsi, lupi, lontre, castori esercitarono un forte richiamo per i cacciatori. Gruppi di pastori si spinsero lungo le valli del Dragone e del Dolo, probabilmente staccandosi da insediamenti che già da tempo esistevano in pianura, come le comunità agricole di Fiorano, e le Terramare.

Un’altra importante "rivoluzione" che permise profondi cambiamenti nella società umana (come era gia avvenuto con la scoperta del fuoco e dell’attività agricola) fu la messa a punto di tecniche di estrazione e lavorazione dei metalli. Queste acquisizioni avvennero proprio nell’età eneolitica e vennero elaborate tecniche, anche complicate, per la lavorazione dei metalli, che già erano stati utilizzati, occasionalmente, anche in età neolitica ma trattati a freddo. Si viene a delineare la possibilità della comparsa di "personale specializzato", di mettalurghi itineranti, contemporneamente artigiani e mercanti.

 

 

Età del bronzo (1.700-800 a.C.): le terramare

Inizialmente il popolamento nel modenese fu abbastanza contenuto (almeno se lo rapportiamo alla scarsità di testimonianze in nostro possesso) per aumentare notevolmente nei secoli successivi, specialmente in collina e in alta pianura, forse in seguito a colonizzazione da parte di popoli conoscitori di tecniche di costruzione avanzate che portarono alla nascita delle Terramare. Verso la fine dell’Età del Bronzo si verifica un certo declino e la popolazione si riduce nuovamente.

Tra il 1.600 e il 1.300 a.C.. si sviluppò la cosiddetta "cultura terramaricola" che si diffuse nell’emilia ad ovest del Panaro e nella Lombardia sud-orientale. Sorsero numerosi villaggi, estesi per migliaia di metri quadrati, con una struttura complessa ed imponente: le Terramare, che rappresentano nel modenese la documentazione più importante dell’età del Bronzo.

"Terramare" deriva dal termine dialettale "Terre marne", cioè terre grasse, con il quale i contadini del secolo scorso chiamavano grossi depositi di terriccio nero e fertilissimo utilizzato nella concimazione dei campi. In realtà queste collinette di terreno, sparse per la pianura, altro non erano che quanto rimaneva di antichi abitati dell’età del Bronzo distrutti e sepolti.

Le Terramare erano villaggi, con un’estensione anche di parecchi ettari e quindi in grado, presumibilmente, di accogliere varie centinaia di persone, caratterizzati da potenti difese costituite da un alto argine in terra, pali di legno e un fossato. Crebbero sia come numero che densità sul territorio fino a costituire una fitta rete che occupava capillarmente la media e alta pianura, la collina e anche la media montagna. In quei secoli si raggiunse uno sviluppo demografico nettamente maggiore di quello di qualunque altro periodo precedente.

Le attività prevalenti erano la produzione di ceramica, la lavorazione dell’osso, del corno, del legno, dei tessuti ed anche della pasta vitrea. Era conosciuta e sviluppata anche l’industria metallurgica, con la produzione di utensili e armi in bronzo. Gli scavi hanno permesso di stabilire che alla base dell’economia terramaricola stavano l’agricoltura, in particolare quella cerealicola, la pesca e l’allevamento di ovini, bovini e suini, la caccia e la raccolta.

Il progressivo affermarsi della produzione e lavorazione del bronzo determinò il concomitante declino dell’antichissimo artigianato della selce, durato per centinaia di migliaia di anni.

In Emilia, compreso il modenese, sono molti i ritrovamenti (strumenti di fonderia e manufatti) a testimonianza dell’intensa attività mettalurgica, sia di produzione che di transito e commercio di prodotti provenienti da altre zone dell’Italia e dell’Europa centro-orientale. Luoghi di ritrovamenti sono a Savignano, Zocca, Pavullo, Serramazzoni, Prignano, Vignola, Spilamberto, Castelvetro, Nonantola, Castelfranco Emilia, Fiorano, Formigine ed altri ancora.

Nelle valli del Dragone, del Dolo e del Rossenna, oltre alla spada in bronzo rinvenuta a S. Giulia, nel Comune di Palagano, recentemente sono stati identificati altri luoghi dove sorgevano villaggi ed in particolare nel Comune di Palagano a Monchio (S. Giulia), Costrignano (La Campagnola) e a Poggio Bianco Dragone; nel Comune di Montefiorino a Montestefano, Calvario e Montefiorino (Rocca); nel Comune di Frassinoro a S. Biagio e nel Comune di Polinago a Monte S. Martino.

 

 

Liguri Friniati

Attorno al 2000 a.C. tribù liguri penetrarono nell’Appennino Settentrionale. L’Appennino modenese e reggiano venne occupato dalla tribù dei Friniati, che potrebbero aver stabilito il loro centro religioso e civile tra i boschi e le montagne dell’alto Frignano (tra le valli del monte Cimone, monte Modino, Tre Potenze fino a S. Pellegrino in Alpe), in quel territorio che ancora nel Medio Evo era chiamato Silva Feronia, da Fer (porto) che indicherebbe l’esistenza di scambi commerciali.

Alcuni ritengono che i Friniates vivessero in un sistema di comunità sparse, o tribù, senza la preminenza di una o dell’altra, unite da una identità etnico-linguistica, con sfruttamento in comune delle terre e dei boschi con un’economia basata principalmente sulla caccia, la raccolta e la pastorizia, a carattere principalmente nomade: quindi una società agricolo-pastorale. Probabilmente erano anche in grado di conservare cibi sotto sale.

Le abitazioni erano costituite da semplici ripari in pietra, legno e ricoperti di paglia.

La pastorizia rappresentava la principale attività economica della montagna, anche perchè poco lontano dallo sbocco delle valli del Dragone e del Dolo nella pianura sorgeva uno dei più importanti mercati dell’epoca: i Campi Macri, identificato con l’attuale Magreta. Qui, fin dal terzo millennio a.C. si commerciavano, o meglio scambiavano, carni, latticini, lana, pellame. Questo famoso mercato prosperò fino alla nascita di Modena (183 a.C.), dopo di che progressivamente entrò in declino.

La presenza dei Friniati si protrasse fino al II secolo a.C. quando, nel 175 a.C., dopo una lunghe e dure battaglie (con migliaia di morti secondo Tito Livio), durate quasi 20 anni, le guerre liguri, furono definitivamente sconfitti dalle legioni romane.

Le guerre liguri, si rivelarono un impegno maggiore di quanto i romani, probabilmente, avessero preventivato. Ottenere il controllo dei liguri, quindi dell’Appennino Tosco-Emiliano e Ligure e della costa tirrenica, non fu affatto un’esercitazione militare o poco di più, come si ritenne inizialmente tanto da non volerla neppure indicare come guerra ("bellum") ma come "guerriglia", una sorta di attività minore, di scarso valore, quasi una esercitazione militare. Le legioni romane, invece, furono impegnate a lungo, quasi per 20 anni, e con sorti alterne.

Furono anni di intensi combattimenti che misero in difficoltà più di una volta le legioni di Roma, ed inoltre non si trattava solo di combattere contro i liguri ma spesso anche con i galli che in varie occasioni combatterono alleati con i liguri.

Solo a titolo d’esempio possiamo citare Livio, il quale scrive che nel 193 a.C. "...ventimila liguri, dopo ogni sorta di razzie, avevano percorso in lungo e in largo la costa tirrenica, mentre un esercito di quarantamila uomini assediava Pisa...". Nel 180 a.C. ci fu un’offensiva romana particolarmente dura che portò alla deportazione di 47.000 liguri Apuani. Questo fatto, indubbiamente pesante per i liguri, non provocò tuttavia la loro sconfitta ma probabilmente cambiarono gli equilibri interni in quanto dopo la deportazione degli Apuani i Friniati divennero la componente maggiore nello schieramento ligure. Tant’è che nel 177 i liguri assediarono e conquistarono Modena stessa, che venne ripresa l’anno seguente dal proconsole C. Cludio dopo tre giorni di battaglia e l’uccisione di 8000 liguri.

I superstiti si rifugiarono sui monti Leto e Balista. Le legioni di Roma cercarono ancora di averne ragione prima con C. Claudio, poi quando questi fu inviato sul fronte Gallico, dal console Q. Petilio che assali i due monti, li espugnò, causando la morte di 5000 liguri e trovando lui stesso la propria fine. L’altro console, Valerio, ebbe definitivamente ragione dei liguri che furono definitivamente sconfitti nel 175 a.C., dopo quasi 20 anni di combattimenti e migliaia di morti e di deportati.

Scarsi ed incerti reperti archeologici sono stati rinvenuti a Carpineti, nel Comune di Frassinoro e forse a Lama Mocogno. A Gusciola, nel Comune di Montefiorino, è venuta alla luce una tomba a cassetta che ricorda quelle liguri.

La disposizione delle case a quadrato aperto da un lato, per l’accesso ad un aia comune, ed unite le une alle altre secondo lo stile ligure e la suddivisione del territorio in tanti villaggi, gravitanti attorno ad un villaggio capoluogo, potrebbe essere ancor oggi retaggio della presenza dei Friniates in Appennino.

 

 

Età del ferro (700-200 a.C.)

In quest’epoca avviene un importante cambiamento del tipo di popolamento rispetto al precedente periodo.

Mentre l’età del Bronzo fu caratterizzata dalla presenza di villaggi, spesso anche molto estesi, difesi da fossati ed argini l’età del ferro si caratterizza per la presenza di piccoli villaggi, sprovvisti di strutture difensive, costituiti da piccole capanne in frasche, intonacate e col tetto in paglia., indice, probabilmente di un perido alquanto tranquillo e senza grossi pericoli.

L’economia prevalentemente si basava sull’agricoltura, sull’allevamento di bestiame, sulla pesca e sulla caccia.

Si praticava il rito funebre della cremazione.

Nel modenese l’assoluta maggioranza degli insediamenti gravita attorno al fiume Panaro, probabilmente espansioni degli insediamenti più importanti che fiorirono e si svilupparono nel Bolognese.

 

 

Umbri ed Etruschi

Dall’asia giunsero in Padania genti colte che stabilirono nel Bolognese il loro centro principale e da qui si espansero, anche verso il modenese, senza però oltrepassare il fiume Panaro, che rappresentò in pratica una sorta di confine tra loro ed gli abitanti della collina e della montagna. Infatti, a differenza del buon numero di loro testimonianze (tombe, porcellane, decori ed altri oggetti) trovate nel Bolognese e nel Savignanese nulla è venuto alla luce in collina ed in montagna.

Gli umbri furono scacciati degli etruschi, popolo che raggiunse elevati livelli di ricchezza, potenza, civiltà e grande diffusione soprattutto grazie allo sfruttamento ed al commercio delle risorse minerarie della Toscana e dell’isola d’Elba (particolarmente importanti ed intensi gli scambi con la Grecia).

Praticamente tutta l’Italia subì l’influenza etrusca. Secondo lo storico romano Livio in Pianura Padana gli etruschi avrebbero creato una confederazione di 12 città, dato però non confermato dalle ricerche archeologiche.

La roccaforte etrusca in Padania fu Felsina (l’attuale Bologna).

Gli etruschi giunsero nel modenese tra il VI e il IV secolo a.C., particolarmente nelle zone di Montese, Savignano, Castelvetro e Castelfranco, ma qualche penetrazione in montagna potrebbe esserci stata.

Nell’Appennino modenese e reggiano esistono tuttora nomi che svelano un’origine etrusca, come quelli dei due fiumi Scoltenna e Rossenna. Palagano si fa derivare da un vocabolo pre-romano: palàga, col significato di pepita d’oro. Di derivazione etrusca potrebbero essere il nome Monte Modino da mut (collina, rialzo) e Tolara da tular (confine).

Per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse minerarie dei nostri monti (le miniere dei Cinghi di Boccassuolo, Toggiano e Sassatella) non esistono dati sicuri.

 

 

Celti (Galli)

I Celti (o Galli come li chiamavano i Romani) provenendo dall’Europa centrale, penetrarono e dilagarono in Padania sicuramente durante il IV secolo a.C., ma è possibile che popolazioni d’oltralpe fossero presenti nell’Italia settentrionale già da tempo.

Gli etruschi vennero sopraffatti dai nuovi conquistatori (soprattutto Galli boi e lingoni), culturalmente più arretrati, lasciando loro le solide ed avanzate strutture economiche, sociali ed organizzative. Il centro principale dei Galli fu Felsina (l’attuale Bologna) alla quale dettero il nome di Bonon.

Rappresentarono un serio problema anche per i romani e ci vollero quasi due secoli di sanguinose battaglie e migliaia di morti per averne definitivamente ragione.

"Le invasioni celtiche della penisola italiana sono da considerare movimenti migratori a carattere aggressivo di gruppi tribali composti da guerrieri, donne, vecchi e bambini in cerca di terre... Si può calcolare che per quasi tutto il IV secolo siano in perenne movimento e si limitino a fissare i loro accampamenti in determinate zone, donde può partire l’azione dei guerrieri..." (M. Zuffa).

Probabilmente furono i Celti ad introdurre nel modenese l’uso della moneta come mezzo di scambio.

Toponimi che indicherebbero l’antica presenza celtica sono Cassinago, Corzago, Polinago, Pugnago, Tavernago, tutti nelle Valli del Dragone, Dolo e Rossenna.

Tracce celtiche sono ancora presenti in certe particolarità fonetiche degli attuali dialetti dell’Appennino (ad esempio alcuni modi di pronunciare la o e la u) ed in vocaboli come Lama (zona paludosa), da cui località come Le Lame, Lama, ecc.., oppure in nomi di attrezzi agricoli quali bercia, benna, borga. Guarzetta (ragazzina) assomiglia sorprendentemente al gallico garconette. "Questi relitti linguistici indicano una prolungata permanenza dell’elemento celtico, fusosi con quello ligure, sopravvissuto in queste zone decentrate ed impervie al processo di romanizzazione che investì invece in modo radicale la pianura" (B. Benedetti).

Reperti archeologici, rappresentati soprattutto da tombe e qualche moneta, sono stati rinvenuti nel reggiano (Castelnuovo Monti, Villaminozzo, Casina) ed anche nel modenese (Saliceta S. Giuliano, Modena, Formigine, Carpi e Soliera). "Capanne celtiche", che ricordano le tipiche tecniche costruttive brettoni, si trovano a Sant’Andrea Pelago e a Fiumalbo. Nel complesso, comunque, il materiale a disposizione è troppo scarso e frammentario per poter definire con sicurezza l’entità della presenza celtica nel modenese (e nell’Emilia).

Anche i Celti già alla fine del III sec. a.C., in lotta con le legioni di Roma, cercarono scampo sulle montagne. Tito Livio narra di una pesante sconfitta subita dai Romani, comandati da Lucio Postumio, in seguito ad un’imboscata tesa dai Galli in un territorio indicato col nome di Selva Litiana che alcuni identificano con il territorio delle attuali Tagliole, nel Comune di Pievepelago.

 

 

E i primi?

Al termine di questo veloce e sommario viaggio nella nostra preistoria sorge ancora la domanda: i primi abitatori dell’Appennino chi furono?

Diversi popoli transitarono o stanziarono, più o meno a lungo, in questi luoghi: Friniati, Etruschi, Celti... E’ verosimile, tuttavia, ipotizzare che i primi "colonizzatori" dell’Appennino provenissero dai villaggi già presenti in pianura e in collina. Non sappiamo, però, con sicurezza neppure chi fossero e da dove venissero gli abitanti di quei villaggi.

Azzardiamo una riflessione: innanzitutto la civiltà delle Terramare non viene attribuita nè ai Galli, nè agli Etruschi; in secondo luogo è certo che nei pressi dell’attuale Modena vi erano stanziamenti di Liguri Friniati, che da alcuni sono considerati i discendenti delle genti dell’età del bronzo e del ferro già presenti nelle valli del Secchia e del Panaro.

Si potrebbe concludere, quindi, che "...non sembrerà dunque arbitrario assegnare alle genti liguri quali prime abitatrici di queste plaghe... l’impianto di quel complesso tessuto di stazioni "terramaricole" che aprirono la strada, tra foreste e paludi, alla prima penetrazione dell’incivilimento etrusco" (B. Bendetti).

 

 

L'ingresso nella storia

La scrittura per la prima volta giunse in Emilia per opera degli Etruschi che già da tempo avevano adottato un alfabeto greco. Iscrizioni sono state trovate a Bologna, Marzabotto, Spina, Rimini e Ravenna.

L’Emilia, e il modenese, entrarono quindi nella storia all’incirca nel V-VI secolo a.C., poichè è proprio l’uso della scrittura il parametro utilizzato correntemente per separare la preistoria dalla storia.