la Luna nuova

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La buca delle lettere

Raccolta delle lettere pubblicate sul periodico

 

 

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la Luna nuova  -  Ottobre 2013


Il grande viaggio

Ottant’anni or sono, esattamente il 21 aprile del 1933, mi imbarcai sul pianeta terra e oggi penso di essere giunto in vista del traguardo: la "fine del mondo". Non mi è sfuggita a caso questa espressione, consapevole come sono che la fine del tempo a disposizione chiuda definitivamente il rapporto che ciascuno di noi intrattiene con questa nostra amata madre terra, "meravigliosa e tragica", come ebbe a definirla Papa Montini, poco prima di morire. Questa gemma preziosa e delicata, paragonabile ad "uno smeraldo posto su un cuscino di velluto nero", come ce la descrissero gli astronauti dell’Apollo 11 vista dalla luna, su cui convivono miliardi di uomini e di altri esseri viventi, continuerà a girare attorno al sole, e per lo spazio immenso, fino a quando Dio lo vorrà, ma, così come l’ho lasciata, io non la rivedrò mai più, se non nella nuova creazione dell’Apocalisse di Giovanni. Perciò è tempo di bilanci.

Mi piace paragonare la vita ad un grande viaggio, faticoso, stancante, intriso di sangue, sudore e lacrime, ma anche ad una avventura meravigliosa, inebriante, avventurosa e piena di Speranza. Vado verso la Verità, quella Verità che, come dice il Vangelo: "Vi farà liberi" (Gv.8,32). Vado con la mia bisaccia piena di domande inevase, ma anche con la Speranza certa che troverò, lassù, la risposta esaustiva ad ogni mio problema.

Per l’attraversata la Provvidenza, la Sorte (?), mi ha assegnato la navicella di Pietro, ma se fossi nato in altra terra od in altra fede oggi, forse, mi troverei a bordo di altro mezzo, ma la meta, ne sono certo, sarebbe la medesima: il Paradiso del Dio vivente. Sono contento così. E lo ringrazio "di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questo periodo". Il mezzo che mi trasporta lo reputo il più sicuro perché possiede la promessa del fondatore Gesù: "…e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt.16,18). Ma anche gli altri godono della stessa grazia. Infatti: "Fattasi sera, dice loro (Gesù): "passiamo all’altra riva". E quelli, licenziata la folla, lo prendono nella barca così come si trovava, mentre altre barche lo seguivano" (Mc.4,35-36). Ecco…gli altri: "altre barche lo seguivano" e seguire Gesù si è sicuramente sulla buona strada. In una sola cosa divergiamo: noi riteniamo che l’uomo Gesù di Nazareth sia Dio. Nessuno ha osato tanto!

La nave su cui viaggiamo la chiamiamo "Chiesa", ma anziché nave la potremmo chiamare anche treno. Per ciò che mi riguarda direi che proprio "treno" è la parola più adatta alla mia esperienza. Da ragazzo non conoscevo né il mare né, tanto meno, le navi; era il treno il mezzo più adeguato, più grande e più veloce che conoscessi. Anche perché la nave non attraversava le gallerie che bucavano le nostre montagne. Non conoscevo bene nemmeno la chiesa. Conoscevo poco persino il parroco e, spesso e volentieri, li perdevo di vista tutte e due. Era come se fossi seduto sopra ad una montagna ed osservassi un convoglio, trainato da una caldaia a vapore che, sbuffando, attraversava la vallata. Distinguevo, a tratti, il pennacchio di fumo bianco, mentre il tutto spariva dentro ad un tunnel o ad una profonda galleria. Dopo un certo lasso di tempo, lo vedevo riemergere dalla parte opposta della montagna, affumicato, pieno di fuliggine, quasi irriconoscibile, ma il treno era lo stesso. I passeggeri si erano affumicati per benino ed era quasi impossibile distinguere gli uni dagli altri. C’erano però, su quel treno, diversi vagoni e compartimenti stagni, e non tutti si erano imbrattati allo stesso modo. Allora scoppiavano mugugni e discussioni, ma il tutto finiva sempre allo stesso modo: chi doveva fare le pulizie nei vari scompartimenti erano sempre i soliti noti: quelli della terza classe. Perciò non era un viaggio comodo allo stesso modo per tutti. Si formavano dunque cordate e fazioni che, spesso con la complicità del capo convoglio, si spalleggiavano a vicenda per stare comodi e nei posti migliori. Io, con non pochi altri figli di nessuno, viaggiavamo in terza classe assieme al carbone.

Sullo stesso convoglio viaggiavano anche nomi illustri di miei contemporanei, come Benito Mussolini, Vittorio Emanuele III, Re ed Imperatore, col figlio Umberto. Margherita di Savoia, Regina, con la nuora Maria Josè e tanti altri della stessa risma. Tutte teste coronate, le quali non si "sporcavano" mai e con le quali, l’unica cosa che avevamo in comune era la contemporaneità. Poi venivano i furboni: Calvi, Sindona, Marcinkus, e tutta la banda vaticana: i vassalli dei capi in testa. Poi era la volta della grande massa amorfa alla quale nessuno faceva caso. Erano sopportati in quanto servivano il treno. Un trattamento del tutto speciale, in fine, era riservato al capo dei capi che, ironia della sorte, si faceva chiamare: "Servo dei servi". Nemmeno ci degnava di uno sguardo; tantomeno ci rivolgeva la parola. Se, per combinazione l’avessimo incontrato mentre sbrigavamo le nostre mansioni lavorative, incredibile ma vero, dovevamo inginocchiarci al suo passaggio, col cappello in mano e lo sguardo a terra. Se per qualche cerimonia o esposizione al culto della sua persona, fosse stato costretto a passare in mezzo agli ultimi, si faceva portare a spalle da una dozzina di uomini su di un trono chiamato: "sedia gestatoria".

Sembrava una matrona romana, portata a spasso dagli schiavi dell’antica Roma. Da sotto i lunghi paramenti d’oro e d’argento spuntavano le pantofole dorate che l’umile servo di Dio porgeva al bacio dei sudditi fedeli. Ma, ormai, sono cose del secolo passato; tuttavia, queste cose, le ho viste tutte, nessuno me le ha raccontate; non sono favole! Il mio primo "imperatore pontefice" si chiamava Pio XI. Di lui ricordo solamente, perché i miei educatori me lo hanno ripetuto fino alla nausea, che era un grande amico di Benito Mussolini, da lui definito: "L’uomo della Provvidenza". Ricordo quando, nel 1939, morì. Tutte le campane del mondo cristiano, così ci disse il nostro parroco, suonarono a morto per annunciare la sua dipartita. Dopo di lui fu la volta di Pio XII, Eugenio Pacelli, un vero principe di sangue blu. Fisicamente di una distinzione assoluta, signorile e nobile. Alto di statura, di nobiltà affascinante.

Non oso trarre un giudizio storico su di lui, tanto lontano era dai viaggiatori della terza classe. Fu il Papa che resse le sorti della chiesa lungo tutto il periodo della seconda guerra mondiale, e questo gli impedì, forse, di guardare dentro in profondità alla sua chiesa. Dopo di lui ci fu Giovanni XXIII, il "contadino" di Sotto il Monte, nel bergamasco. Prese in mano una chiesa ancora di chiara marca tridentina ed indisse il Concilio Ecumenico Vaticano II, del quale non si parlerà mai abbastanza. Morì dopo pochi anni, ma sufficienti per imprimere un nuovo corso alla storia del cattolicesimo.

Gli successe Paolo VI che condusse a termine il Concilio. Dopo di lui, per il firmamento cattolico transitò una cometa: Giovanni Paolo I che visse 33 giorni appena. Scandalizzando non pochi, fece appena in tempo a dire che Dio, oltre che Padre, è anche mamma. Fu poi la volta del polacco Karol Wojtyla – Giovanni Paolo II. Il suo pontificato fu uno dei più lunghi della storia. Sotto di lui il Concilio non fece un solo passo in avanti. Gli successe Benedetto XVI il quale frenò ulteriormente e alla fine si dimise, caso unico nella storia, ed è tuttora vivente in Vaticano. In fine: ecco Francesco!

Che dire? Le prime mosse mi hanno spiazzato. Mi chiedo se tutto quello che ho detto, e che ci sarebbe ancora da dire, sui suoi predecessori, è vero oppure ho sognato? Di colpo mi ha fatto dimenticare secoli di storia. E’ vero o no che la sue prime parole sono state un semplice "Buona sera?" E’ vero oppure no che, presentandosi dal loggione di San Pietro non come Papa ma come semplice vescovo di Roma, ha voluto la benedizione dai romani, prima di impartire la sua? E’ vero, o sono in preda al delirio, che fa fermare la papamobile e scende per andare ad abbracciare bambini ed ammalati? E’ vero, oppure ho capito male, che ha detto ai suoi preti e vescovi e cardinali che devono "odorare di pecora"? Questi sono i Papi della mia vita, ma Francesco mi pare fuori dal mazzo. Mai visto una roba del genere! La corsa continua, poiché da questo treno non si scende, ma l’aria mi sembra già un po’ più fresca, più respirabile. Papa Francesco parla della sua nonna e a me fa venire in mente "Bortolino".

Chi era costui? Non era mio parente né mio coetaneo. Per me era il Signor Nessuno. Gli fui affidato provvisoriamente in attesa che tornasse la ragazza madre che mi aveva partorito, assentatasi temporaneamente. Rimanemmo assieme per tutta la durata della sua vita. Quando ebbi l’uso della parola, incominciai a chiamarlo babbo, perché sentivo tutti gli altri bimbi chiamare così un altro uomo. Lui si lasciò chiamare, dimostrandomi affetto, sempre più affetto fino a quando tutto ciò si trasformò in amore reciproco e profondo. Pur non essendolo, diventò mio padre.

A questo uomo, che Francesco mi ricorda così da vicino, il mio cuore canta ogni istante il suo grazie così: "O papà, mio per sempre. Lacrime, gioie, speranze e delusioni, tutto di me tu conoscevi. Nelle stalle, nei campi e nei fienili, lontano da occhi e da orecchie ostili, mi davi i tuoi consigli. Hai fatto di me un uomo, donandomi la tua umanità. Hai trasformato la pietra che era in me in un cuore di carne, capace di amare; di provare emozioni così grandi che mi fanno sperare che un giorno tu mi sarai donato ancora, papà mio per sempre, essendo stato per me quaggiù quello che fu Giuseppe per Gesù".

Sul treno della vita, Bortolino è stato la mia guida, il mio maestro, la mia salvezza; non mi sono mai sentito solo, perché sapevo che pregava per me. Per questo lo immagino oggi in Paradiso seduto a un posto d’onore, con sul capo la corona dei giusti, la cui gemma più preziosa porta il mio nome. Non per merito mio, ma per la promessa: "Quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me" (Mt. 25,40).

Con Bortolino nel cuore, e con l’esempio di Francesco sotto gli occhi, il mio viaggio procede senza sosta verso il suo destino. Lascio, senza rimpianti, questa valle di lacrime e mi avvio incontro alla felicità del cielo promessa agli "uomini che Dio ama".

Il mio maestro, era povero, molto più povero di quello che non sia io in questo tempo, ma mi ha lasciato una grande eredità: una preghiera che lui recitava in dialetto, perché non conosceva l’italiano: "Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore a l’anima mia; Gesù, Giuseppe e Maria, spiro in pace con voi l’anima mia".

Amen.

Ugo Beneventi

(24 agosto 2013)

 


TdG - UNA NUOVA SALA IN APPENNINO

Il primo fine settimana di giugno ha portato un avvenimento molto importante per i Testimoni di Geova dell’Appennino modenese.

Dopo le sale di Palagano, Pavullo, Sestola e Montese, i fedeli di Guiglia e Zocca hanno finalmente la loro nuova Sala del Regno, dopo essersi radunati per decenni in vari locali di Zocca. E’ stata costruita, con contribuzioni volontarie e lavoro offerto gratuitamente (Salmo 110:3), nella strada che porta alla secolare Pieve di Trebbio, nei pressi del Parco dei Sassi di Roccamalatina. La sua costruzione è in armonia con l’ambiente.

Nel pomeriggio dell’8 giugno la Sala era aperta per tutti coloro che desideravano visitarla. Domenica mattina, durante l’inaugurazione ufficiale, un ministro di culto dei Testimoni ha messo in risalto che sebbene il locale sia piacevole e funzionale, ciò che lo rende veramente importante e prezioso è la presenza di persone. Ha spiegato che la parola chiesa proviene dal greco ekklesia e significa assemblea, adunanza o riunione.

Essa, infatti, deriva da ekkaleo che significa io chiamo e si riferisce a un gruppo di persone convocate per uno scopo. Si può definire anche comunità o congregazione (Salmo 26:12 - Atti 16:5 - Colossesi 4:15 – Ebrei 10:24,25). Nell’Appennino modenese i Testimoni hanno le cinque congregazioni menzionate.

La Sala di Guiglia è la 19sima della provincia di Modena. Le congregazioni sono trentasette e vi si radunano a turno. Lo studio della Sacra Bibbia si svolge in una decina di lingue. Ora in città e provincia ci sono circa 3000 evangelizzatori di porta in porta (Matteo 24:14 - 28:19,20 Atti 1:8).

All’edificazione della Sala di Guiglia hanno partecipato decine di volontari. La costruzione ha richiesto circa cinque mesi e ha la capienza di novanta posti. Comprende anche una biblioteca. Le riunioni istruiscono alla luce dei principi biblici, sui valori della famiglia, della morale e del rispetto cristiano (Salmo 1:1-3 - 2 Timoteo 3:16,17).

L’opera di evangelizzazione dei Testimoni porta benefici alla comunità. Rende possibile ascoltare la Parola di Dio a chi lo desidera e aiuta chi l’accetta a migliorare la propria vita personale e familiare.

Il centro di Guiglia, come tutti gli altri, Palagano compreso, ospiterà anche la celebrazione di matrimoni validi a tutti gli effetti civili in quanto esistono ministri di culto dei Testimoni di Geova autorizzati a tale scopo, in virtù del riconoscimento legale concesso dallo Stato italiano alla confessione religiosa.

Tutte le adunanze sono aperte al pubblico e l’ingresso è libero. Si prendono in esame le spiegazioni di brani biblici e si trattano principi e consigli della Parola di Dio per vivere meglio e affrontare i problemi che la vita porta (Isaia 48:17,18 e 54:13).

Romano Salaroli

Congregazione Cristiana Testimoni di Geova

Ufficio Relazioni Pubbliche Appennino modenese

Cell. 349-2553218 E-mail: aresal1@tin.it

(13 luglio 2013)

 


CIMITERO DI COSTRIGNANO

Cara Luna,

che Palagano fosse il paese dei matti si sapeva, ma che facesse fare un torneo di pallanuoto sui monti è il massimo, certo è che ormai non c'è più da meravigliarsi di nulla, si è anche capaci di seppellire i morti nell'acqua.

Dispiace veramente tanto, credetemi, vedere la bara di un proprio caro sparire nell'acqua; al cimitero di Costrignano capita proprio così, ma i soldi della sepoltura se li fanno dare tutti senza nessuno sconto.

Sono molto amareggiato, non hai altra difesa che pagare. Grazie "Luna" dello spazio.

 

Fratti Luciano


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